Di famiglia numerosa, composta da cinque figli maschi e una figlia femmina, madre contadina, padre muratore. Combattente della guerra del 1915 con un fratello ucciso nella battaglia del Carso. Ha frequentato a Milano corsi serali alla scuola artistica di Brera e alla Scuola Libera Politecnica.
Di professione stuccatore – modellista di opere in rilievo e figure. Conoscenza del disegno meccanico, della fisica, della statica grafica. Le sue opere sono visibili in alcune ville signorili del varesotto e del comasco: villa Bernocchi a Varese, villa Peduzzi a Olgiate Comasco, ex villa Uslenghi a Binago, villa Ciapparelli a Castellamonte, stazione Porta Nuova a Torino, stazione centrale a Milano, chiesa di Binago, chiesa di San Salvatore e altre.
Persona ingegnosa, ispirandosi a Leonardo da Vinci era convinto che l’uomo potesse volare con le proprie forze, così ha iniziato nel 1933 lo studio di un velivolo a forza umana.
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Binago ha dato i natali ad un architetto di notevole fama, la cui opera ancora oggi viene considerata con molto interesse. Si tratta dell’architetto Luigi Boffi, nato a Monello il 21 settembre 1846 e morto a Milano nel 1904, la cui tomba, di un certo pregio si trova dietro la nostra chiesa di S. Maria. L’interesse per la sua opera è testimoniata dal fatto che ancora oggi a lui sono dedicate tesi di laurea di studenti della facoltà di Architettura, ma è soprattutto la monografia pubblicata dalla Camera di Commercio di Novara che mette in rilievo l’importanza del nostro concittadino, autore di numerose ville sul Lago Maggiore e soprattutto delle stazioni della ferrovia della linea del Sempione che lo hanno reso famoso. Luigi Boffi si inserisce nel panorama dell’architettura fin de siede contribuendo, con il tono eclettico delle sue opere, sia per le formule personali che per i materiali adottati, ad assumere grande importanza nel momento del Liberty di poco successivo. Forgiato negli studi alla gloriosa Accademia di Brera di Milano, Boffi partecipò con assidua tenacia ai grandi concorsi indetti in quegli anni ed in ogni parte della nuova Italia: fu infatti fra i concorrenti per il monumento alle Cinque Giornate di Milano e per l’Ossario di Custoza, ma è con il concorso per il monumento a Vittorio Emanuele II, da erigersi a Roma sulla parte nord del colle capitolino, che Luigi Boffi ottiene riconoscimenti arrivando secondo. Da buon architetto milanese anche lui non poté mancare il concorso per la sistemazione della facciata del Duomo di Milano indetto nel 1886: propose un cambiamento completo, riducendo le porte a tre e inserendo una grande finestra ogivale sopra a quella centrale.
La mostra fotografica è una copia della versione itinerante di quella, più ampia, presente a Barbiana a completamento del percorso didattico realizzato dalla Fondazione, quando ha recuperato gli strumenti didattici originali per consentire la conoscenza dei metodi di insegnamento seguiti da don Lorenzo nella scuola.
La mostra è quindi un contributo per rendere sempre più completo il messaggio che l’esperienza di Barbiana trasmette alle decine e decine di scolaresche e visitatori che ogni anno salgono in questi luoghi.
Il percorso espositivo presenta la vita del priore: la sua giovinezza, il seminario, il primo incarico come cappellano, l’arrivo a Barbiana sino agli sviluppi della scuola.
Le scene delle lezioni, delle discussioni intorno ad un unico libro, dei momenti di vita in comune, si susseguono con l’impatto realistico che la comunicazione per immagini offre.
Le frasi, in calce ai pannelli fotografici, estratte dagli scritti editi di don Milani, danno voce e risalto alla parte più innovativa del suo pensiero. “Barbiana; il silenzio diventa voce” è il titolo emblematico per una realtà in cui dal silenzio del non sapere, i figli dei poveri e degli emarginati hanno acquisito la consapevolezza che il sapere e la parola rendono uguali. Un “silenzio” depositario di una cultura non scritta, che si tramanda di generazione in generazione e che non emerge mai, dato che gli ultimi non scrivono libri, non fanno convegni, non tengono conferenze. Una condizione che purtroppo perdura anche oggi: infatti gli insopportabili silenzi dell’ignoranza e dell’indifferenza hanno solo cambiato località e colore della pelle, ma esistono ancora.
A Barbiana quel silenzio si è fatto voce. Ha fatto emergere un messaggio forte che è stato capace di parlare molto lontano, sia come tempo che come luogo e che ancora oggi continua a muovere, a commuovere, ad esaltare o a urtare.
In memoria di mio marito
Chi era Mario della Rosa
È nato il 22 settembre 1927 in provincia di Como.
Laureato in scienze industriali.
Docente nei Corsi di Formazione per responsabile d’azienda.
Redattore di dispense, ricerche e studi nell’ambito socio‐industriale.
Cultore di letteratura e musica.
Impegnato in analisi critiche delle opere
Scrittore di poesie, racconti e novelle.
Una parte di me è il titolo di una quadrilogia che coinvolge l’esistenza umana e la vita letteraria dell’autore.
Essa è rappresentata da:
– una parte malinconica, come ansia poetica, cui fa riferimento il volume Poesie;
– una parte gioiosa, come vita vissuta, cui fa riferimento il volume Racconti;
– una parte fantastica, come sogno reale, cui fa riferimento il volume Fantasie;
– una parte riflessiva, come fine culturale, cui fa riferimento il volume Riflessioni.
Ognuno di noi troverà in queste opere una parte di sé, in una stato di empatia con l’Autore i cui aspetti letterari tendono a realizzare una simbiosi con i suoi simili dando così alla poesia il senso più alto della vita umana. Ha lasciato la vita terrena per il morbo di Alzheimer il 13 gennaio 2011.
La Crocifissione
In questa sede si darà conto di quanto segnalato dai primi studi successivi alla casuale riscoperta degli affreschi del presbiterio negli anni Trenta. Purtroppo allo stato attuale non è più visibile, nemmeno in minima parte, un’iscrizione che compariva al di sotto della Crocefissione e che recitava: «1502 GIOVAN PIETRO DA VELATE». Essa viene segnalata da un articolo uscito nel quotidiano L’Italia del 1943;1 l’articolo, in realtà, si occupa della riscoperta degli affreschi nella chiesa di S. Stefano a Velate e li mette in relazione con gli affreschi firmati e datati di Binago, proponendo l’attribuzione degli affreschi di Velate al pittore che si firma “DA VELATE”, attivo a Binago; in verità si tratta di un inveterato cliché
volto a rintracciare almeno un’opera nel borgo d’origine di un pittore. Purtroppo l’accenno dell’estensore dell’articolo è molto fugace e non offre alcun’altra informazione. Per la prima volta entra nel merito dell’analisi dei dipinti uno studio di Gemma Guglielmetti Villa2 dedicato agli affreschi del Quattrocento in provincia di Varese. La studiosa rileva come di grande interesse la grandiosa Crocefissione del presbiterio: giudica di «patetismo contenuto» la figura di Cristo e di «atteggiamento un po’ convenzionale» quelle di Maria e S. Giovanni.
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Durante questo anno pastorale, seguendo l’invito del Cardinale Tettamanzi, ogni fedele ambrosiano avrà la possibilità di incontrare la mirabile figura di San Carlo Borromeo, “un pastore eccezionale e significativo per la storia della nostra Diocesi”, in quanto si farà memoria del IV centenario dalla canonizzazione. Ripercorriamo quindi la vita di questo “santo per vocazione” cercando di rendere attuale e vivo il suo esempio.
Carlo nacque nella Rocca di Arona, sulla riva occidentale del Lago Maggiore, il 2 ottobre 1538, figlio cadetto di Margherita de’ Medici di Marignano, sorella del papa Pio IV e di Gilberto II Borromeo. Secondo la consuetudine delle grandi famiglie nobili, il giovane Carlo fu avviato alla carriera ecclesiastica. Si laureò in diritto civile e canonico all’università di Pavia nel 1559 e fu chiamato, assieme al fratello Federico a Roma dallo zio materno da poco salito al soglio pontificio. Pio IV lo nominò Cardinale col titolo di Santa Prassede nell’anno 1560 divenendo così il primo collaboratore del papa nel governo della Chiesa che, in quel momento, stava vivendo il difficile tempo della Riforma Cattolica. Il 1562 è l’anno in cui Carlo vive un momento di sofferenza e di prova che condizionerà parecchio la sua vita: l’improvvisa morte del fratello maggiore Federico. Gli fu consigliato di abbandonare la vita ecclesiastica per gestire i beni di famiglia e garantire la discendenza ma senza esitare rifiutò, rinnovando la sua consacrazione a Dio.
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Toponomastica di Binago
Si è già scritto in proposito, ma la cosa è ancora sub judice; sia quindi lecito aggiungere alcune considerazioni. Il documento più antico arrecato finora, e del secolo ottavo, ci dà « Bionaco, Bionago ». S’è <letto che non bisogna badare alle desinenze, ma rivolgere l’attenzione alla radice, ma questa asserzione non è del tutto esatta. Bisogna anzi in primo luogo indirizzare la nostra attenzione alla desinenza, perchè dalla sua conformazione, chi è pratico, può dedurre a quale lingua appartenga un nome che ha la tale o tal’altra desinenza; e così senza perdersi a cercare altrove, va dirittamente a cercare il significato della parola in questione, in quella lingua che gli viene suggerita dalla desinenza di tal vocabolo. Può darsi il caso, specialmente oggidì con la edere frequenza degli scambi, che ci s’imbatta in una parola scientifica o tecnica che abbia la stessa radice (meno leggeri adattamenti) ma la desinenza sia diversa. Così in nomi di azione, qualora riscontrassimo una stessa radice, per esempio: DEFINI-; AVIA-; ecc. con la desinenza -tio – ( defini-tìo) uno pratico direbbe tosto, qui siamo di fronte ad una parola latina: ma se portasse la desinenza -tion, apparirebbe subito parola usata dai francesi; -zione, italiana; e così la desinenza -ci on, spagnuola; -sao, portoghese; -sag, maggiara; -sis, greca; -nost, slava; -ung, tedesca; -ing, inglese; -m.it, albanese. E perciò chi volesse conoscere il vero significato di tale parola, adoperata in tutta Europa, dovrebbe ricorrere a quella lingua nella quale se ne rinviene la radice, e così ne potrebbe trovare il significato.
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Storia di Binago
Il nome di Binago compare per la prima volta, sia pure circondato da molte incertezze, in un documento redatto attorno all’anno 774. Si tratta di un atto di vendita in cui viene citata una località a nome Bionaco o Bionago. Il documento, però, non contiene alcun esplicito riferimento al paese. Bisogna attendere ancora tre secoli per trovare un chiaro indizio riguardante un abitato a nome Binago. In una memoria riferita a un accordo stipulato fra Guido, arcivescovo di Milano, e il conte Rodolfo del Seprio, in una data compresa fra il 1045 e il 1071, si fa riferimento a un podere nella pieve di Varese, nel luogo detto Binago. Sembra che i conti del Seprio possedessero dei beni in quel villaggio. Suscita qualche dubbio però la collocazione territoriale: Binago doveva infatti essere già allora compresa nella pieve di Appiano e non in quella vicina di Varese. Potrebbe trattarsi di un caso di omonimia; può darsi quindi che esistesse, alla fine dell’XI secolo, un’altra località denominata Binago di cui si è in seguito perduta memoria, oppure che ci si trovi di fronte a una svista nell’indicazione del capopieve; errori del genere, del resto, furono abbastanza frequenti. Una testimonianza sicura e assai più ricca ci viene fornita da una fonte storica che narra alcune vicende della prima metà del secolo successivo, quando anche il piccolo paese di Binago venne drammaticamente coinvolto nella guerra che vide Milano schierarsi contro Como.
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